Carlo Andreacchio è un sarto di fama internazionale, raffinato, prestigioso e attento cultore della qualità artigianale italiana.

Oggi dirige insieme alla moglie Rita Maria, la celebre Sartoria A. Caraceni, fondata da Agostino Caraceni nel 1946, ma che vanta una tradizione familiare di sarti risalente al XIX secolo.
Dopo Agostino l'atelier passò al figlio Mario che, in quarant'anni di gestione arrivò a impiegare oltre una trentina di sarti. Uno di questi, Carlo Andreacchio, sposò sua figlia, ereditando l'azienda quando quest'ultimo andò in pensione nel 1998. La realizzazione di abiti su misura, l'attenta selezione dei tessuti, la dedizione riservata alla relazione con il cliente e la cura e la severità adottate nella realizzazione artigianale sono gli elementi che fino ad oggi hanno garantito il successo della produzione sartoriale del laboratorio di via Fatebenefratelli.

Quale passione la muove? Quale è stato il suo percorso formativo?

Ho sempre avuto una passione innata per gli abiti, che mi ha spinto a diventare ciò che sono. Seguivo i corsi e studiavo da ragioniere come volevano i miei genitori, ma, nel frattempo e di nascosto, andavo in un negozio sartoriale a fare riparazioni: lì mi hanno insegnato a tenere ago, filo e ditale. La mia fortuna è stata poi quella di incontrare mia moglie senza sapere che fosse figlia del grande Caraceni, il quale era il mio modello, il mio "idolo". Sono entrato in questa sartoria che avevo più di vent'anni, ma avevo alle spalle anni di gavetta. Qui ho fatto il lavorante, aiuto tagliatore e infine da venti anni titolare insieme a mia moglie della sartoria. Ho fatto tutta la gavetta; non mi è stato risparmiato nulla come io non lo faccio con mio figlio. Non è cattiveria, ma è perché solo così si può imparare il mestiere: dopo anni e anni di apprendistato, partendo dalle basi. Questo lavoro è sacrificio e pazienza.

Questo lavoro è sacrificio e pazienza.

Nel suo atelier s’insegna il mestiere ai giovani?

Io sarei ben felice se il mio atelier promuovesse attività di trasmissione del mestiere alle nuove generazioni, ma fatico a trovare giovani che vogliano impararlo. Mi è capitato che alcune mie sarte andassero in pensione e quindi dovessi trovare delle sostitute, ma ho incontrato serie difficoltà a reperirle: non ci sono più sarte capaci, non c'è più nessuno che le formi giacché ormai regna incontrastata la mentalità della fabbrica. Ci vuole inoltre tempo e pazienza per imparare. Insegnare è diventata una scommessa, su cui, di questi tempi, è difficile puntare.

Come vivono i giovani il suo lavoro? Insegnate il mestiere in bottega?

Noi siamo disposti a formare, e lo abbiamo fatto otto anni fa: abbiamo attivato un corso interno alla bottega con ragazzi assunti da noi come apprendisti e quindi pagati, che non sapevano fare nulla, però aveva l'età e la voglia di imparare. Abbiamo preso un nostro lavorante che era capace anche di insegnare e per tre anni hanno fatto questo percorso. Di questi sei ragazzi alcuni sono andati via, mentre tre attualmente lavorano per il mio atelier.

Che tipologia di clientela ordina i suoi completi su misura?

Noi abbiamo la possibilità e il lusso di poter selezionare la nostra clientela che è composta sia da italiani che stranieri, principalmente uomini d'affari. Inoltre abbiamo avuto e abbiamo tuttora la fortuna di lavorare per clienti di grandissima fama: Calvin Klein, Karl Lagerfeld, Montale, che ha indossato un frac fatto da noi alla consegna del Nobel, o Gianfranco Ferré, che era solito vestire qui.

Quali sono le criticità legate al suo settore?

Innanzitutto vorrei porre l'accento su una problematica molto attuale che è quella del reperimento di personale qualificato. Forse la colpa è da imputare alle scuole di moda odierne: i ragazzi che vogliono avvicinarsi all'artigianato non fanno abbastanza pratica. Per frequentare delle scuole professionali serie devono chiedere consulenze (gratuitamente ovviamente) a noi artigiani che siamo del mestiere, che sappiamo cosa è necessario imparare. In secondo luogo esiste una totale assenza da parte delle Istituzioni da cui dovrebbero partire progetti di riforma (per agevolazioni fiscali per esempio) e valorizzazione. Con la Regione Lombardia avevamo in cantiere un progetto per creare una scuola insieme: abbiamo provato a portare avanti l'iniziativa ma i fondi sono finiti. Inoltre anche le associazioni di categoria cui sono iscritto, come l'Unione Milanesi Sarti e l'Accademia Nazionale Sartori dovrebbero farsi garanti d’iniziative a favore del nostro mestiere, ma a volte non si rivelano efficienti.

Cosa si aspetta dal futuro di questa professione?

Io posso parlare della mia bottega, non mi sento di parlare anche per altri. Per quel che riguarda il mio atelier, io vedo sempre un grosso successo, se saranno mantenute queste linee di condotta: il modo di lavorare, di scegliere i tessuti, le tecniche utilizzate e il modo di rapportarsi con i clienti. Un sarto diventa un tale solo se possiede queste doti. Molte sartorie sono finite perché hanno voluto "scimmiottare" la confezione senza mantenere il proprio stile: se io cliente voglio una giacca destrutturata come quella di Armani vado a comprarmela lì, non ha senso farla su misura. Il sarto invece realizza una giacca come deve essere fatta, a regola d'arte, non che sia una copia di quelle viste durante le sfilate.