Francesco Raimondi nasce a Vietri sul Mare (Salerno) nel 1959, decoratore per vocazione, si forma nelle principali “faenzere” vietresi, lavorando al fianco di grandi maestri dai quali apprende i molti segreti di quest’antica arte. Crea uno stile ricco di citazioni colto e realizzato con infinità di variabili. Il suo laboratorio, l’Archetto, è oggi punto di riferimento per molti cultori della ceramica.

Dal 1981 al 1991 lavora da “Nando”, un piccolo laboratorio sulla costiera amalfitana, diventando padrone del mestiere e manifestando il suo talento.

Ci racconti la sua storia. Quando ha iniziato il suo percorso?


La mia è una storia molto semplice, da bambino amavo disegnare, continuamente. Era quasi un’esigenza, nel mio block notes ricopiavo per ore le decorazioni delle maioliche vietresi.

Il ceramista si fa per scelta, io l’ho capito quando avevo appena 9 anni: frequentavo le scuole elementari, accanto alle porte dell’edificio scolastico vi era un laboratorio ceramico, gestito da “Bambiniello” (piccolo bambino), un uomo molto elegante. Ogni giorno, mi soffermavo ad ammirare come con le sole mani si modellavano asinelli, carretti e vari oggetti d’uso. Lì è iniziato il mio percorso e l'amore profondo per la ceramica.

C’è una persona che nel corso della sua vita ha influito nella sua formazione o nella scelta del suo mestiere?

Si chiama Giovannino Carrano, allievo di Doelker, ceramista affermato nel mondo. Sono stato suo allievo quando ero ancora un ragazzo, lo ammiravo molto perché avevamo la stessa storia: Giovannino proveniva da una famiglia molto umile, l'unica cosa di valore che possedeva era il suo talento e un'incredibile voglia di riscatto nei confronti della vita. È stato un esempio per me, ho cercato di seguire le sue orme.

Vietri sul mare: antica città crocevia di scambi, di persone, merci, rumori, odori e sapori. Qual è il suo rapporto con la città? E quanto influenza le sue opere?

La mia città è tutto per me. Ogni giorno, durante il tragitto che collega la mia casa alla bottega, la guardo e mi piace, mi rende felice perché qui la ceramica è sempre esistita. Vietri ha la pelle di terracotta, è sufficiente attraversare i suoi vicoli per scorgere pezzi di cottura non riuscite che spuntano sui muri dei palazzi antichi. Si trova al centro fra la cultura greca e quella romana, entrambe hanno fortemente ispirato e influenzato le mie opere; la sua posizione di porta d'ingresso della Costiera Amalfitana, inoltre, ha permesso ad elementi quali il mare e la natura, di diventare elementi d’ispirazione nelle mie creazioni.


Cos’è lo “stile Vietri”?

Lo stile Vietri nasce all'inizio del '900. In epoca antica la città era crocevia degli scambi commerciali con il Mediterraneo, nonché porta d'ingresso per la Costiera Amalfitana e questo ha portato questo piccolo gioiello campano a diventare luogo di passaggio di più culture. Grazie al Gran Tour numerosi personaggi di prestigio passavano di qui per raggiungere Amalfi, lasciando un segno in quella che era l'arte ceramica di quel tempo, caratterizzata da lunghe e sinuose pennellate.

Negli anni '20 e '30 sono poi arrivati a Vietri Max Melamerson, Doelker e i loro compagni, definendo quello che è stato il "periodo tedesco". Quest'ultimo ha influenzato uno stile già presente sul territorio che, grazie all'enorme contributo di grandi artisti come Guido Gambone e i fratelli Procida, hanno dato vita allo "stile Vietri", uno stile naïf che racconta con semplicità - a volte con immaginazione fiabesca - la vita e la natura del territorio.

A un certo punto della sua carriera, decide di abbandonare la tradizione per l’innovazione. Cosa l’ha spinta a una scelta così coraggiosa?

La ceramica è arte e come tale è in continua trasformazione. Ogni artista è soggetto a un naturale processo di cambiamento, in sintonia con la propria sensibilità interiore; nondimeno si è influenzati dalle correnti artistiche che continuamente si rinnovano. Mi sembrava che sullo stile tradizionale fosse già stato detto tutto ma, per non allontanarmi da quello che sono, ho tentato di lasciare la tradizione nelle mie opere.

Favorito dal passaggio e della conoscenza di grandi artisti di fama internazionale, che con me hanno operato nella mia bottega, sono riuscito a trovare una nuova chiave di lettura dell'arte che da sempre ha investito i miei lavori. Dopo molte riflessioni, sono riuscito a raggiungere una nuova forma di espressione che coniugasse la tradizione con l’ innovazione.

Quanto di tradizionale c’è ancora nella sua arte?



Moltissimo. Non mi sono mai allontanato dalla tradizione, la mia è soltanto una rilettura,
riportando tutto quello che era l’iconografia classica vietrese in una forma attuale. Infatti ci sono tanti riferimenti a noti personaggi moderni

Tra le sue creazioni troviamo quelle “concettuali” e le “grottesche”. Vuole spiegarci cosa sono, quali differenze hanno tra esse e, se vi sono, quali elementi le accomunano?

Le creazioni "concettuali" e "grottesche" non sono accomunate tra loro, sono creazioni nate in momenti differenti della mia vita. Come ogni artista ho un elemento che mi caratterizza: la curiosità. Quest'ultima dapprima mi ha condotto verso un mondo astrale composto di linee e punti che, con agglomerati che possono sembrare pianeti, riprendono molte volte gli elementi geometrici della tradizione vietrese. L'utilizzo di smalti e colori vivaci mi hanno permesso di puntare a un effetto visivo più moderno che mai avevo sperimentato. Successivamente, con il passare degli anni, è giunta la maturazione, favorita anche dalle giocose mostre dedicate alle grottesche. Ne le "Raimondesche", per esempio, ripropongo volti giovani, dei tempi odierni, e non più soggetti del passato posti negli affreschi, nei mosaici e nelle sculture antiche. Il tutto è legato dall'interpretazione in chiave ironica, giocosa e moderna di questi elementi. La mia è una rilettura della grottesca differente rispetto a quella di Giò Ponti e Pable Charoen. Quello che volevo era che le mie grottesche riflettessero un'ironia a tratti borderline, che facessero riferimento alla nostra cultura: ricca di doppi sensi, del "detto non detto", delle leggende popolari di cui il nostro territorio è ricco.

Come avviene la scelta dei suoi soggetti?

La scelta dei soggetti da rappresentare è puramente casuale e mai predeterminata. L'arte è improvvisazione, ispirazione e quest'ultima arriva sempre senza preavviso. Magari in un pomeriggio mentre sono tranquillo a leggere un libro: in un attimo l'ispirazione giunge da un ricordo, uno studio, un viaggio, da ciò vedo o leggo, dalla vita. In quel preciso momento la mia mente viene colpita e l'idea viene messa dapprima su carta affinché non svanisca, e successivamente su ceramica in chiave allegra e ironica.

Idea, progetto e realizzazione: c’è una fase che predilige nel processo di creazione di un’opera?

Sicuramente la creazione, senza ombra di dubbio. Il momento in cui metto insieme le mie idee e creo un bozzetto, mettendo in gioco tutto il mio sapere. Divertendomi ed elaborando sono arrivato ad una delle qualsiasi opere che ho realizzato: questo mi rende estremamente felice. Il bianco di un piatto spesso può spaventare, per me rappresenta la possibilità di creare.

Fondamentale è stata la nomina a Maestro d’arte e Mestiere d’Italia, mi ha reso orgoglioso spronandomi a dare ancora di più, in modo da poter essere di riferimento per altri ceramisti che come me hanno cominciato sin da giovani con la gavetta.